Fashion week, perché non vale più la pena esserci a tutti i costi

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Durante l’ultima fashion week di Milano è capitato più di una volta che amiche e conoscenti mi chiedessero “ma allora, eventi che farai per la fashion week?” mentre la mia espressione inequivocabile rispondeva “ah la fashion week…” generando stupore e altre domande a cui spesso mi sono rifiutata di dare una risposta sensata.

Forse è giunto il momento di dare delle spiegazioni, che saranno scontate per alcune altre blogger e dalle quali amiche e conoscenti invece trarranno chiarezza.

Quando io e Sonia abbiamo iniziato con il blog tantissimi anni fa non avevamo la minima idea di come funzionasse il meccanismo contorto degli accrediti. Il primo anno siamo andate in giro per tutti i saloni e gli eventi free, vi sembrerà strano, ma fino a nove anni fa girovagando per le strade di Milano durante la MFW capitava spesso di imbattersi in eventi anche aperti a tutti, non era la sfilata di Gucci ma erano piccoli eventi che riuscivano a far avvicinare tantissime persone alla casta modaiola di addetti ai lavori, come dire, a umanizzarla.

Erano ancora gli anni in cui si percepiva che a Milano c’era la settimana della moda senza che qualcuno dovesse dirtelo. Erano gli anni in cui passeggiavi felice sentendoti parte di un sistema e una città che ti offriva in quel periodo qualcosa di esclusivo, di vincente.

Una volta capito il meccanismo, per le successive fashion week abbiamo fatto quello che tutte le blogger all’epoca facevano: chiesto accrediti agli uffici stampa, cercato di imbucarci ad alcuni eventi, richiesto l’accredito alla Camera della moda, ricevuto inviti spontanei da PR.

– Accrediti agli uffici stampa: calendario alla mano la cosa più semplice da fare era individuare quale fosse l’agenzia di riferimento e inviare una mail – noi abbiamo sempre scritto molto di più di “Richiesta accredito” -. I casi erano tre: non rispondeva nessuno (80% delle volte), rispondevano no (10%), rispondevano si (10%).

Nel primo caso te ne facevi una ragione. Nel secondo anche, anche se spesso e volentieri venivamo comunque inserite nella mailing di riferimento ricevendo il comunicato successivo all’evento “con preghiera di diffusione”, spesso abbiamo ritenuto questo atteggiamento poco rispettoso (se non ti interessa che venga al tuo evento probabilmente non ti interessa che io ne scriva). Nell’ultimo caso quando la risposta era positiva il post era garantito, spesso anche praticamente nelle ore successive alla sfilata.

Li ricordo bene quei giorni in cui prendevamo ferie a lavoro, ci svegliavamo prestissimo e scrivevamo tantissimo. Non credete che in questo caso la situazione fosse liscia come l’olio: anche con l’accredito – mail alla mano – siamo state rimbalzate perché non in lista o, a una sfilata famosissima che tante blogger ricorderanno, le porte si sono chiuse con parte dello standing in attesa. Insomma la disorganizzazione regnava sovrana ma tutto sommato per alcuni anni, in quegli anni, andava bene così perché tutte, piccole e grandi blogger, avevamo il nostro spazio con una reputazione guadagnata e sudata a colpa di contenuti.

– Cercato di imbucarci: si, lo abbiamo fatto, pochissime volte, spesso ci è andata male, ma una volta ci è andata benissimo e il PR in crisi con il front row scarno ci ha piazzate in prima fila.

– Chiesto l’accredito alla Camera della moda. Un anno abbiamo regalato 100€ alla Camera della moda, uno degli uffici più disorganizzati con cui abbiamo mai avuto a che fare, i due accrediti richiesti avrebbero dovuto concederci la possibilità di essere inserite in alcune mailing a discrezione del brand. Questo significa che tu paghi, puoi scroccare la loro WiFi e usare la loro navetta per spostarti da una sfilata all’altra anche se non ci sei andata. Perché quell’anno a parte la difficoltà nel ricevere l’accredito, solo per motivi burocratici e non di reputazione, non abbiamo avuto un invito o un comunicato in più rispetto alle volte successive. Mi interrogo anche sull’utilità di quell’accredito.

– Ricevuto inviti dalle Pr: questo è di gran lunga il caso più bello e anche quello che ha bisogno di meno spiegazioni.

Dopo questa premessa probabilmente non avete ancora capito perché non ci si impegna più per partecipare attivamente alla fashion week e in effetti mancano degli elementi.

Sin dalla nostra prima fashion week abbiamo capito che c’era un meccanismo malato, malatissimo e a cui non avremmo ceduto: lo streetstyle. Una vera e propria mania per cui più ti vestivi male più venivi fotografato, più riempivi le gallery, più acquistavi notorietà tra gli addetti ai lavori, più follower.

Già i follower.

Con questa parolina magica veniamo al secondo elemento da considerare per capire la mancanza di entusiasmo verso la settimana della moda. Instagram ha dato voce e notorietà a ragazze bellissime e bravissime che non hanno mai avuto un blog. Questo non significa che non abbiano mai avuto contenuti.

Paola Turani, Giulia De Lellis, Beatrice Valli, Giulia Valentina hanno, per motivi diversi, un buon livello di notorietà e buoni contenuti, tanto da avere una follower base attiva e un engagement altissimo. Accanto a loro, “le influencer”, si sono affacciate una serie di altre piccole e medie exblogger e nuove influencer cresciute alla velocità della luce, tante anzi tantissime, con follower più o meno fake. Tutte bellissime che fanno delle foto stupende per cui un brand è ben felice di averle alla propria sfilata e fargli indossare i propri vestiti.

Ma non ho ancora capito perché avete perso l’entusiasmo.

Abbiamo smesso di volerci essere perché tutto questo non ci appartiene e forse non ci è mai appartenuto. Non è mai contato per noi l'”esserci a tutti i costi” che va di moda ora. Tanto meno scendere a compromessi di qualsiasi tipo, prima di tutto verso noi stesse, per esempio e banalmente, facendoci foto di un certo tipo che ci farebbero sentire forzate e fuori luogo.

Il desiderio non è mai stato quello di comparire in una gallery e alimentare lo streetstyle da pagliaccio (badate bene, credo che ci siano anche outfit stupendi durante la fashion week), così come investire il nostro tempo durante una sfilata solo ed esclusivamente per foto sbrigative e descrizioni in bold con un “amazing” scritto velocemente.

Il nostro interesse verso la fashion week era toccare con mano e scoprire, avere la possibilità di fare qualcosa di privilegiato ed esclusivo che abbiamo sempre desiderato fare. Oggi non è più così, oggi l’accessibilità ha azzerato l’esclusività e la fashion week è diventata in molti casi un front row di ragazze che hanno milioni di follower e raccontano la favola moderna fatta di “omg”, cuoricini e foto outfit perfette scattate da fotografi professionisti.

Noi volevamo far parte del sogno analogico di guardare la sfilata e raccontarla senza sentirci costrette a fotografare a tutti i costi, combattendo una casta fatta di persone che basano gli inviti e gli accrediti su amicizie (ho visto PR far entrare caterve di loro amici alle sfilate) e giustamente sul business investendo su chi ha più follower, tanti.

Lo spazio per chi chiede l’accredito perché interessata, si presenta. puntuale, fa la ressa, si piazza silenziosa al proprio posto e pubblica quello che vuole non c’è più. Oggi si può fare la fashion blogger seduta comodamente sul divano seguendo Viviana Volpicella, Anna dello Russo e simili, per le quali esserci è un lavoro e che presenziano con cognizione di causa e non per moda.

Il resto è un’ostentazione che si ripete in un mondo, quello della moda e della fashion week, che ha corso troppo smettendo di far sognare.

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