Il potere di una canzone

tramonto di Diamante canzone di Zucchero

Oggi è un mese esatto che non metto piede fuori casa. Con le consegne a domicilio e aiutata dal fatto di vivere in una famiglia numerosa – in cui c’è sempre qualcuno che, per le necessità, è pronto a uscire e ne ha più voglia e bisogno di me – non varco la porta d’ingresso precisamente dall’8 marzo.

L’ultima volta che sono stata in giro avevo addosso il cappotto e un maglione blu a collo alto. Oggi esco a fare colazione sul balcone con t-shirt di cotone, coperta solo da un cardigan leggero e ogni tanto metto addirittura gli occhiali da sole. Per regalarmi l’illusione di essere fuori e anche per proteggere gli occhi da quei raggi che diventano sempre più caldi e intensi, ogni giorno che passa.

Trascorrere tanto tempo a casa diventa inconsciamente sempre più pesante ma, passo passo, paradossalmente, più normale e accettabile. Perché l’essere umano è un animale abitudinario e tutti, alla fine, iniziamo ad adattarci a una nuova condizione e a creare una nostra routine. Il pane fatto in casa, la puntata del nostro telefilm preferito alla tv ogni giorno alla stessa ora, la pila dei libri da leggere ammassati sul comodino che si assottiglia.

Ma devo ammettere che a farmi compagnia in queste giornate trascorse tra quattro mura sono state soprattutto le canzoni. La musica per me è una grande passione: il mio rifugio nelle giornate buie, la mia alleata nei momenti di allegria e, perché no, un’amica che ogni tanto mi spinge a riflettere.

Le canzoni hanno la capacità di accarezzarci le pieghe dell’anima in modi che non ci aspetteremmo e di arrivare dove i discorsi di statisti, sociologi e politici non riescono e non riuscirebbero mai. E con la grandezza e la potenza dei brani di musica leggera, che di leggero non hanno nulla, ci facciamo, tutti, spesso i conti.

Io ci penso ad esempio tutte le volte che il testo di quel motivetto che ascolto alla radio o su Spotify sembra scritto proprio per me. E giurerei che è capitato a tutti: ce ne accorgiamo, è lì. Quel brano ci sta dicendo qualcosa, sta parlando proprio a noi. Immaginiamo che il nostro cantante preferito o quel cantante che abbiamo incrociato per caso su una frequenza radiofonica mentre usciamo di casa in una frettolosa giornata qualunque (o, in questo periodo, mentre passiamo da una stanza all’altra), abbia vissuto proprio gioie, emozioni e turbamenti identici ai nostri. Altrimenti come potrebbe raccontarli così bene!

La realtà però è un po’ diversa, più razionale ma – forse – ancora più magica: la bellezza di una canzone sta principalmente nella sua capacità di adattarsi a ogni pelle.

E di scavare un solco di diversa portata e intensità in chi la recepisce. Ciascuno di noi, in fondo, può darle il significato che gli detta il cuore, anche se lontano o diverso da quello a cui l’autore aveva pensato. E questa versatilità è una marcia in più concessa solo alla poesia.

Raccontare il significato che ognuno di noi da a un brano, riesce in qualche modo anche a metterci a nudo. Perché parlare di musica – scorrendo magari tra le note delle nostre canzoni preferite che, più di altre, ci hanno fatto emozionare – spesso equivale a rivelare un pezzetto di sé.

Solitamente tendo a raccontarmi sempre con un po’ di pudore e discrezione, conservando un angolino seminascosto per le cose realmente importanti. Ma nel caso della canzone che ho scelto per oggi – per questo primo mese trascorso in casa – non so se sarà possibile.

Si tratta di Diamante, la canzone di Zucchero. Il titolo di questo brano è un omaggio al nome della nonna del cantautore e il caso vuole che questo sia anche il nome della mia città. Anzi, del mio paesino. Perché Diamante è un piccolo centro arroccato sul mare nel nord della Calabria tirrenica.

Sono profondamente innamorata di casa mia e non la cambierei con nessun’altra. Perché ci sono nata ma soprattutto perché l’ho scelta. Sono partita, ho cercato altro e altrove, ma poi sono tornata e ogni volta che mi allontano anche solo per qualche giorno ne sento la mancanza. Mi manca la mia famiglia, certo, ma mi mancano anche i vicoli che mi hanno visto crescere, i muri dipinti dalle mani di grandi artisti, i profumi, i rumori, l’orizzonte dell’unico mare che mi fa sentire al sicuro perché a largo riconosco il profilo dell’isola di Cirella che – per prima – mi ha insegnato cosa volesse dire essere un pezzo di terra circondata da ogni parte dal mare.

Vivere in un paesino non è sempre facile: ha i suoi pro e i suoi contro. Ad esempio, i locali in cui uscire a cena con gli amici non sono molti, in compenso però sono molti i volti che puoi considerare amici, perché in un paese tutti conoscono tutti. Non abbiamo una piscina in cui imparare a nuotare, ma forse non ci serve, perché i bambini qui imparano a stare a galla senza braccioli anche prima di imparare a camminare, in quel mare che fa parte della nostra cultura e della nostra tradizione. Non ci sono i centri commerciali e questo a volte è un disagio, lo ammetto, ma fare compere o fare la spesa può diventare anche il pretesto per fermarsi al volo a prendere un caffè con qualcuno.

Oggi sono “costretta”, come tutti, a vivere casa mia. E oggi come non mai ne sono orgogliosa. Mi sono ritrovata a pensare a quante similitudini ci siano tra la “mia” Diamante e quella della canzone Zucchero: innanzitutto questo nome ha un forte legame con le origini di entrambi. E poi, scorrendo le parole, mi sembra di vedere la mia cittadina: è qui che io ho imparato a camminare, è qui che – come raccontano i miei nonni – in passato c’erano fornai (che ci sono ancora) e i vinai. Ed è sempre qui che tanti anni fa si ballava insieme in controluce su una piccola pista da ballo a picco sul mare che adesso, a distanza di tanti anni, non esiste più.

Ma è soprattutto qui che, in questi giorni complicati, abbiamo imparato cosa vuol dire che “nuove distanze ci riavvicineranno”, perché mai come ora ho visto la mia comunità unita anche se costretta a rimanere lontana. Volontari e commercianti si sono organizzati con le consegne a domicilio per tutti, per evitare che la gente esca di casa. Le sarte del paese hanno cucito le mascherine che sono poi state regalate ai cittadini, i bimbi hanno appeso fuori dai balconi i loro cartelloni colorati e hanno ricevuto a casa uova di Pasqua donate dall’amministrazione comunale. E anche le piccole antipatie personali – perché si, nei paesini capita più spesso che in altri posti – sono state messe da parte. Abbiamo imparato insieme a recuperare quel senso di famiglia allargata che una piccola comunità dovrebbe mantenere sempre. Perché oggi siamo consapevoli che insieme moltiplicando la nostra voce, possiamo arrivare più lontano ed essere più forti di fronte a un nemico che ci fa paura.

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