La sfida della rete non è tutto o niente

rete internet smart working web

La quarantena, l’isolamento, le nuove abitudini e il contatto con l’esterno filtrato dallo schermo di un pc ci hanno posti davanti a un’evidenza: la rete è diventata ormai indispensabile nella quotidianità di ognuno.

Certo, questo in fondo lo sapevamo già. Perché negli ultimi anni ci siamo resi conto che il web ha cambiato le regole del gioco in tanti settori. Sorvolando sull’incidenza che i social network hanno avuto nella routine di tutti noi, possiamo dire che il web ha innanzitutto modificato il modo di fare informazione. Perché tutti quelli che possiedono uno smartphone sono diventati potenzialmente produttori e allo stesso tempo fruitori delle notizie. Anche se questo, spesso, ha comportato una perdita qualitativa delle informazioni in circolo.

Ma internet e la rete hanno cambiato le regole anche nella politica, con i botta e risposta diretti tra avversari o tra il politico di turno e il suo follower/hater. Nel lavoro con le riunioni in videoconferenza, utilizzate in diverse aziende molto prima della quarantena. E lo hanno fatto anche nei rapporti interpersonali, non sempre come un intermediario positivo, ma spesso e volentieri come una barriera digitale ed emotiva costruita a suon di emoticon nelle file di un’intera generazione.

Il grande problema digitale del nostro tempo è che, per quanto aperti al cambiamento e al progresso, non ci siamo mai davvero fatti trovare pronti alla sfida lanciata dalla rete. La abbiamo sempre considerata come un sostituto della presenza fisica. Ed è stato quindi, per tutti, quasi automatico e necessario schierarsi contro o a favore dei benefici, o – a seconda dei punti di vista – degli svantaggi della rete.

Da una parte infatti c’è chi la percepisce come il mezzo del futuro, il sinonimo del progresso sociale e culturale, capace di accorciare le distanze e aumentare la velocità e la produttività in ogni settore. Dall’altra – al contrario – ci sono quelli che la considerano e l’hanno considerata un amplificatore del distacco, uno strumento capace di annientare il contatto umano, l’empatia e la fisicità espressa nel suo senso migliore.

È il caso di dire che, come spesso accade, in medio stat virtus. E forse ci voleva un periodo di quarantena e distanziamento obbligatorio per iniziare a capire che gli intrecci di internet non possono essere compresi e vissuti a senso unico. E che il digitale non è un mezzo sostitutivo alla quotidianità “reale”, piuttosto un universo complementare da sfruttare nel migliore dei modi.
Whatsapp, le mail, il sexting e le videochiamate non possono e non devono prendere il posto delle uscite e degli appuntamenti nelle relazioni e nemmeno ridurre al minimo gli incontri con i familiari e gli amici.

Oggi che siamo limitati nei nostri contatti umani lo sappiamo più che mai. Ma – in fondo – in questo periodo, i dispositivi tecnologici sono stati gli unici mezzi che ci hanno resi capaci di mantenere i contatti. E rendere meno pesanti le distanze e meno profonde le preoccupazioni, non solo nei rapporti di coppia ma anche nei confronti di amici e parenti fisicamente lontani.

Lo scontro a suon di video e fake news è diventato il nuovo agone politico che ha cancellato dall’immaginario collettivo i dibattiti di piazza e, in molti casi, ha reso più violento e acceso il confronto. Ma ci ha abituati, pian piano, anche a un nuovo modo di comunicare la propria attività politico-amministrativa.

A spazi ridotti e intermezzi relativamente brevi che hanno rimpiazzato il continuo snocciolare di dati con immagini e veloci speach, capaci di intercettare il lato emotivo dell’elettorato e parlare alla testa ma anche al cuore dei cittadini. Insegnandoci qual è, forse, il percorso adatto per riuscire a vivere al meglio la trasformazione amministrativa e socio-politica della nostra epoca.
Ma il vero banco di prova di questo isolamento forzato è stato il settore lavorativo.

Chiunque abbia sottoscritto un contratto in un’azienda medio-piccola negli ultimi 5 anni, sa che lo smart working è percepito dall’esterno – e spesso anche dai colleghi più anziani – come un metodo alternativo alla malattia e al giorno libero. Perché nell’immaginario comune chi resta a casa non lavora e non produce. Ancora oggi leggiamo e ascoltiamo di scuole “chiuse” e insegnanti fannulloni perché, per l’opinione pubblica, un docente che non si reca in aula non sta lavorando, anche se passa metà della sua giornata in videoconferenza con 20/30 adolescenti che si preparano alla maturità.

La verità è che se un grafico disegna loghi dal pc di casa e un consulente riceve telefonate sul suo cellulare e non risponde al telefono fisso dalla scrivania dell’ufficio, beh, sta comunque lavorando e ottenendo risultati.

Oggi è stata una situazione di emergenza a imporre l’utilizzo del telelavoro e i dati sulla produzione aziendale dimostrano che lavorare da casa non solo è proficuo e competitivo ma, in una situazione di relativa calma non assimilabile a quella che stiamo vivendo in questo preciso momento storico, porterebbe addirittura a una migliore percezione dell’ambiente aziendale da parte dei lavoratori e a intensificare la produzione e l’efficienza nei confronti degli utenti.

La rete non è solo il mostro da demonizzare che ci sta rendendo degli automi lobotomizzati e nemmeno la divinità da esaltare perchè capace di scorciatoie che rendono meno impegnativo il percorso verso ogni piccolo, grande traguardo. È sinonimo di sviluppo, evoluzione e futuro ma non ha mai avuto la pretesa di rimpiazzare l’efficienza umana e diretta del singolo utente, in nessun campo. Semmai, solo di facilitargli un po’ la vita.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *