Casa de Papel, piace per colpa dell’effetto Camerun?

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Se mi chiedessero di definirmi direi che sono testarda, abitudinaria e che ho i miei tempi per adattarmi alle cose nuove e per scoprirle. Le mode mi interessano poco, ho sempre badato molto di più ai miei gusti personali, alle mie sensazioni e alle mie inclinazioni.

È per questo che ci ho messo un po’ per farmi conquistare da La casa de Papel. Mentre tutti guardavano la serie-rivelazione su Netflix e aspettavano impazienti la terza stagione – uscita quest’estate in contemporanea mondiale –, io ero impegnata a recuperare i miei arretrati di Suits e Grey’s anatomy.

L’ho vista con un po’ di ritardo, insomma. Una volta iniziata però, non ho saputo smettere: ho divorato una puntata dopo l’altra e ho preferito le serate su Netflix a qualche cena fuori e alle passeggiate rilassanti. Per farla breve, anche io mi sono innamorata del Professore, della sua minuziosa precisione, del suo modo di mettersi a posto gli occhiali e mi sono appassionata al colpo del secolo e agli intrecci delle storie dei protagonisti.

Ma perché La Casa de Papel piace così tanto? Certo, la voce calda di Berlino (vi consiglio di ascoltarlo in lingua originale!) ha sicuramente dato una grande mano al successo di quella che risulta essere la serie spagnola più vista e tradotta di sempre.

Ma quali sono i veri motivi per cui – alla fine – tutti ci troviamo a essere dalla parte dei ladri più famosi di Netflix e a imparare a considerarli come i buoni pur sapendo che sono dei fuorilegge?

  • Tanto per cominciare si tratta di empatia. Con ciascuno dei protagonisti si crea un rapporto empatico e quasi personale, grazie a una sceneggiatura ben strutturata. Si tratta, si, di ladri. Ma anche e soprattutto di sventurati che tentano di sfuggire a un destino crudele e già scritto. In ogni membro della banda si nasconde un cuore d’oro che gli autori sono stati bravi a presentare e a far apprezzare: hanno scovato la parte più dolce e romantica di Tokyo, che abbassa il fucile e le sue corazze e si innamora perdutamente del giovane Rio. Hanno svelato il profondo dolore di una madre dietro le risate e l’ironia di Nairobi. Ci hanno fatto piangere alla morte del saggio e premuroso Mosca. E, persino in Berlino, il più cinico della banda, hanno saputo trovare un lato tenero: quello di fratello maggiore, ma soprattutto quello di chi si immola pur di regalare la libertà ai compagni.
  • C’è anche un altro fattore che ha esercitato un certo fascino sugli spettatori. I protagonisti de La casa de Papel rubano, è vero. Ma il loro furto non ha come vittime semplici cittadini e onesti risparmiatori. Loro rubano direttamente alla fonte. Allo stato. Al sistema. E questo ce li fa apparire come positivi. I nostri beniamini diventano dei veri e propri eroi perché, in fin dei conti, realizzano un desiderio di molti. Diciamoci la verità: guardandoli stampare moneta, barricati dentro la zecca di stato, abbiamo provato soddisfazione, forse quasi un po’ d’invidia. Abbiamo finalmente visto qualcuno capace di “fregare il sistema” e andare contro l’ordine prestabilito. Insieme ai Dalì vestiti di rosso, anche noi ci siamo sentiti un po’ ribelli, dei membri di una piccola resistenza!
  • Ma ciò che più di ogni altra cosa ci ha conquistati è stato senza dubbio il cosiddetto “Effetto Camerun. Vi ricordate quando nell’episodio 4 della seconda stagione il Professore chiede alla banda: “Immaginante una partita di calcio del mondiale: stanno giocando il Brasile contro il Camerun. Chi vince? Anzi, facciamo così: chi vorreste che vincesse?”. La risposta per i ladri e per noi in questo caso è solo una e ce la suggerisce Mosca: “Vincere, vince il Brasile. Ma io tiferei Camerun”. E a tutto ciò c’è una spiegazione semplice e lineare. Lo canta persino Lo stato sociale nella canzone In due è amore e in tre una festa: “Nella vita ho tifato sempre per chi perde”.

L’effetto Camerun è esattamente questo: l’insita propensione dell’animo umano a schierarsi dalla parte del più debole. È così per tutti e dalla notte dei tempi. Per quanto possiamo fingere cinicamente che ci piacerebbe vincere facile, che il successo comodo ci attira e che schierarci accanto al più forte è il nostro mantra di vita, in fondo al nostro cuore vive un’inconsapevole crocerossina!

Ogni volta che ci troviamo davanti a una lotta impari, siamo automaticamente portati a sperare che l’irrealizzabile diventi possibile. A credere che la favola possa diventare realtà e a sognare. Sognare in grande.

Ecco perché La casa de Papel ci piace così tanto: perché una piccola squadra di ladri, inferiore alla polizia per numeri e mezzi, concretizza l’impossibile. Otto “poveri disgraziati”, come li chiamerebbe il Professore, coadiuvati da una guida esterna (che è forse la personificazione dell’antieroe moderno, gentile e geniale), riescono – contro ogni aspettativa e superando non poche difficoltà – a vincere contro un’armata vera e propria che non si fa scrupoli neppure a sparargli addosso. Così i Dalì riescono a conquistare il favore del popolo spagnolo – nella serie – e dell’opinione pubblica nella realtà.

Davide vs Golia. Camerun vs Brasile.

E la storia, la letteratura, il cinema sono pieni di esempi che confermano questa tesi e riportano all’effetto Camerun.

Uno su tutti? La battaglia più famosa di sempre: quella tra Ettore e Achille. L’erede al trono leale e attento, il padre premuroso e marito fedele, che lotta per difendere la patria e la famiglia si scontra con il semi-dio, bellissimo e invincibile, che combatte solo per se stesso e per la vana gloria. Non c’è storia. Sin dal primo verso.

Tutti sappiamo dall’inizio come andrà a finire: siamo perfettamente consapevoli del fatto che il principe troiano cadrà sotto i colpi del figlio di Peleo. Eppure noi tifiamo per l’antieroe. E ogni volta che ci ricapita di leggere i versi dell’Iliade (o di rivedere Troy in TV!), speriamo che qualcosa cambi, magari che Achille inciampi o perda la lancia, e che Ettore si salvi almeno stavolta.

Perché quindi ci piace la Casa de Papel? Chiedetelo al Professore: si chiama Effetto Camerun!

Post a cura di Maria Francesca Amodeo

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