Oscar 2021: Nomadland e la “Nuova America”

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Come ogni anno i premi più ambiti del cinema hollywoodiano sono arrivati: gli Oscar hanno finalmente avuto la loro cerimonia anche nel 2021.

Inutile dire quanto tutti avessimo bisogno di questa sorta di ritorno alla normalità: per la prima volta vedere un red carpet non ci ha fatto provare invidia per i vip, i loro abiti di alta moda, i lustrini e le emozioni della notte più magica dell’anno, ma ha davvero fatto bene all’umore generale dei telespettatori. Ci ha fatto pensare che il mondo ha ricominciato a girare e a prestare attenzione non solo alle notizie di cronaca ma anche grazie alle frivolezze del jet set di Hollywoood.

Addirittura una delle attrici presenti alla serata, Reese Witherspoon, non ha saputo trattenere lo stupore davanti a una platea di così tante persone (tamponate e negative, of course!) in un teatro. La sua reazione di meraviglia è stata catturata e riportata da molte testate video.

Gli Oscar portano sempre con sé pronostici, passerelle, mise memorabili (nel bene e nel male), premi a sorpresa e speech indimenticabili. E anche nel 2021 tutte queste abitudini non sono mancate e ci hanno tenuti svegli per un’intera nottata (o ci hanno fatto compagnia la mattina seguente in articoli e post!).

È vero che noi italiani per questi Oscar 2021 non dimenticheremo mai di aver sfiorato la statuetta per la miglior canzone originale con un brano interamente cantato in italiano da Laura Pausini. Ed è altrettanto vero che quasi ogni donna al mondo si ricorderà di quanto si è riconosciuta in Yuh Jung Youn che, dopo aver vinto l’Oscar come miglior attrice non protagonista per il suo ruolo in Minari, era più felice di aver incontrato Bradi Pitt dal vivo che del premio.

Ma questi Oscar 2021 rimarranno memorabili soprattutto per aver mostrato al mondo il volto dell’America che cambia.

Sarà che per la prima volta nella storia i premi più ambiti e prestigiosi del cinema non ci hanno tenuto compagnia nel pieno dell’inverno, come solitamente avveniva, ma nel bel mezzo della primavera (nella notte tra il 25 e il 26 aprile), ma ad accompagnarli c’è stato un vero e proprio senso di rinascita che si sposa ottimamente con questa stagione.

Un’America nuova, inclusiva, innovativa, equa, aperta alle differenze e alle difficoltà. Che sfugge dall’esigenza di apparire perfetta e al sogno americano contrappone e preferisce la realtà, anche scomoda, della gente comune.

Un’America rivoluzionaria. E molte delle piccole rivoluzioni silenti riguardano il film che in assoluto ha trionfato nella notte degli Oscar: Nomadland.

La migliore regista è una donna

Il primo sintomo di cambiamento è stata ad esempio la vittoria alla miglior regia di Chloè Zhao per Nomadland. Dopo una cerimonia (quella del 2020) che aveva visto solo candidati uomini al titolo di Best directors –  con la conseguente protesta di Natalie Portman che aveva fatto ricamare sulla sua mantella Dior tutti i nomi delle registe escluse dal premio – a trionfare nel 2021 è stata una donna. La regista è la seconda esponente del gentil sesso in 93 anni di storia degli Oscar, e la prima di origine asiatica, a tenere tra le mani l’ambita statuetta per la migliore regia. Prima di lei c’era riuscita solo Kathryn Bigelow nel 2010 con The Hurt Locker. La Zhao ha dedicato la sua vittoria “a tutti quelli che hanno il coraggio di tener fede alla bontà che hanno dentro sé stessi e a quella che vedono negli altri”.

Miglior film a budget ridotto

Nomadland, però, non si è aggiudicato solo il premio alla regia, ma anche quello più “pesante” di miglior film. Il lungometraggio ha fatto l’en-plein: dopo il Leone d’oro alla mostra del cinema di Venezia, il premio Bafta e il Golden Globes, con l’Oscar si chiude la carrellata di riconoscimenti per il film sul nomadismo americano. Si tratta di un lavoro rivoluzionario in tutti i sensi nel mondo di Hollywood. Innanzitutto perchè vede le donne come assolute protagoniste: è stato diretto da Cloè Zhao, racconta la storia di Fren (interpretata da Frances McDormand che è anche la produttrice) ed è basato sull’inchiesta giornalistica di Jessica Bruder. Ma non solo: si tratta di un indie film. Così come Sanremo si è aperto all’industria musicale indipendente per l’edizione 2021, anche gli Academy si sono rivolti quest’anno al cinema indie e hanno scelto, e in questo caso premiato, film che si allontanano dalle industrie cinematografiche major. La produzione di Nomadland, nel suo complesso, è costata infatti solo 5 milioni di dollari.

Miglior attrice: una sorpresa

Frances McDormand,  vincendo come migliore attrice protagonista, ha battuto la superfavorita Viola Davis (Ma Rainey’s Black Bottom), la pluri-apprezzata Carey Mulligan (Una donna promettente) e anche l’outsider Vanessa Kirby – star di Netflix – su cui in tanti scommettevano per l’interpretazione in Pieces of a Woman. Il premio è stato una totale e assoluta sorpresa per tutti, forse anche per lei e anch’esso, a modo suo, ha rappresentato una rivoluzione visto il personaggio che l’attrice ha portato sullo schermo. Ciò che affascina della McDormand è innanzitutto il suo atteggiamento schivo, delicato, di chi non ama le passerelle e che spesso la lascia descrivere come un’antidiva, ma anche e soprattutto la sua capacità di scegliere personaggi interessanti e saperne vestire i panni. Frances McDormand – perfetta nel suo abito Valentino, con un’innata eleganza, totale semplicità e anche un pizzico di sano menefreghismo che le ha fatto presenziare (e sbancare!) la notte degli Oscar con tanto di ricrescita, senza acconciature super-finte e senza necessità di gioielli vistosi o eccessi di alcun genere – si è aggiudicata infatti il suo terzo Oscar in carriera. E per la terza volta lo ha fatto – come attrice protagonista –  interpretando una donna complessa, onesta, reale. Dopo essere stata la poliziotta Marge Gunderson in Fargo, la madre coraggio in Tre Manifesti a Ebbing, Missouri, in Nomadland è diventata una donna che sceglie di abbandonare la sua vita di sempre e mettersi in viaggio, imbattendosi in tanti personaggi che, come lei, vivono sulla strada e raccontano un’America diversa da quella patinata che il cinema ci ha mostrato per decenni. Un Paese dove non esistono solo metropoli e corsa alla perfezione ma anche e soprattutto silenzi, solitudini e viaggi interiori.

Miglior cortometraggio, il dramma delle minoranze

Se Nomadland si aggiudica, a pieno titolo, il ruolo di film-rivoluzione e di emblema del passaggio a un nuovo modo di intendere il cinema e il Paese, non è certo da meno il vincitore dell’Oscar come miglior cortometraggio che ha fatto, forse, meno rumore, ma rappresenta un’innovazione non indifferente e porta un messaggio significativo. Si tatta di Two distant stangers, uno short film di fantascienza che ripercorre gli ultimi istanti di vita di Carter, un afroamericano che viene ucciso da un poliziotto e si ritrova in un anello temporale a rivivere la sua morte per oltre 100 volte. In parte il film ricalca l’evento che ha dato il via a Black lives matter: l’uccisione per soffocamento di George Floyd. Alcune delle morti di Carter sono infatti delle vere e proprie citazioni di uccisioni di afroamericani realmente avvenute per mano dei poliziotti: oltre a Floyd anche Eric Garner e Breonna Taylor. Il corto è disponibile dal 9 aprile su Netflix (anche in questo caso il cinema indie continua ad avere la meglio) ed è stato diretto da Travon Free e Martin Desmond Roe. I due, ritirando l’Oscar, hanno tenuto il discorso più significativo e diretto della cerimonia, non facendo mancare riferimenti ai fatti di cronaca che vedono un’altissima percentuale di uomini di colore morti per mano di poliziotti. Nomi celebri spuntano anche tra i produttori e i produttori esecutivi del corto: i cestisti NBA Mike Conley e Kevin Durant, il rapper Puff Daddy e Jesse Williams (il dottor Jackson Avery di Grey’s Anatomy). Tutti artisti di colore. Il corto si chiude inoltre con un elenco di nomi di afroamericani uccisi senza apparente motivo dalla polizia USA.

Qui, direttamente da Wikipedia, potete trovare tutti i premi della magica notte degli Oscar 2021.

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